Ministro Foti: "Il governo farà la sua parte per aiutare le aziende in difficoltà"
29 giugno 2025
(intervista della Stampa al Ministro Tommaso Foti)
Ora che gli Stati Uniti hanno ottenuto dai loro partner Nato l'aumento degli investimenti in Difesa e Sicurezza, sembra che anche la trattativa sui dazi con l'Europa si sia sbloccata. E il ministro per gli Affari europei e il Pnrr Tommaso Foti sembra avvertire nell'aria l'urgenza di cogliere l'attimo: «Trovare un'intesa tra Washington e Bruxelles entro il 9 luglio è fondamentale», ripete più e più volte nel corso della telefonata. Un obiettivo impellente, sostiene Foti, perché «da troppo tempo navighiamo nell'incertezza e nessuno, né l'Ue né gli Usa, riesce a offrire un quadro chiaro ai propri operatori economici: questo danneggia il mercato di entrambi i Paesi».
Si parla di una soglia del 10%. E sostenibile per l'Italia?
«Eravamo partiti dal 20% e, se salterà il negoziato, il 9 luglio scatteranno dazi al 50%. Chiudere al 10% sarebbe un netto miglioramento rispetto al punto di partenza. Poi quanto e come sarà impattante lo vedremo quando l'accordo verrà dettagliato, settore per settore, e si capirà quell'eventuale 10% come viene declinato, chi riguarda e chi no».
Il governo può comunque garantire che interverrà per aiutare i settori colpiti?
«Faremo sicuramente la nostra parte nel momento in cui avremo una prospettiva più definita».
Italia e Germania vogliono chiudere al 10%, mentre la Francia continuerebbe a trattare per ottenere di più.
«Tutti vorrebbero scendere sotto il 10%, ma ora è importante arrivare al traguardo. Facciamo attenzione anche a cosa è successo tra gli Usa e il Canada, dove il banco è saltato e a pagarne il prezzo sono le imprese. La trattativa, ad ogni modo, la fa la Commissione europea».
Con la Germania si sta trovando una certa sintonia. Sui dazi, come su Gaza o sui migranti.
«Ci sono segnali molto positivi, è vero. La decisione del governo tedesco di bloccare i finanziamenti alle Ong è in linea con la politica del governo Meloni. E la decisione della Germania di partecipare alla riunione informale sull'immigrazione irregolare convocata da Meloni a margine dell'ultimo Consiglio europeo, dove ora siedono 14 Paesi oltre alla Commissione Ue, è la riprova che le idee del governo italiano sono diventate maggioritarie in Europa».
Il fatto che Trump da un lato imponga dei dazi e dall'altro chieda agli alleati Nato di investire di più nella Difesa non è contraddittorio?
«Consideriamo però che gli Usa si sono sobbarcati il costo della difesa europea negli ultimi decenni. È ora che ci assumiamo le nostre responsabilità».
Per l'Italia resta un problema: dove trovare le risorse per arrivare al 5% di spesa militare in rapporto al Pil?
«Valuteremo l'opzione migliore. Ci sono scadenze lunghe, perché l'obiettivo va raggiunto entro il 2035, con una verifica nel 2029. E ci sono ampi margini di flessibilità che consentono di programmare una spesa che è molto diversa dalla lotteria delle cifre indicate dalla sinistra per buttare polvere negli occhi alla gente. Stiamo parlando di 30 miliardi annui che sono per lo più investimenti, non spesa corrente».
L'ex ministro Giulio Tremonti, oggi deputato di FdI, rilancia la proposta degli Eurobond per la Difesa.
«È stato il primo a lanciare questa idea, anni fa, e gliene va dato atto. Adesso, tuttavia, sull'ipotesi di fare nuovo debito comune ci sono resistenze troppo forti in Europa».
Il Pnrr poggia in parte sul debito comune. Il "piano di revisione" dei progetti a che punto è?
«A breve, intanto, sarà liquidata la settima rata, che ci porterà ad aver incassato il 72% delle risorse a disposizione, mentre la media europea è del 48%. E con l'ottava rata arriveranno altri 12,3 miliardi di euro. Per il piano di revisione dovremo prima confrontarci con gli uffici della Commissione Ue, tra il 30 giugno e il 4 luglio, dove capiremo i limiti operativi entro i quali possiamo muoverci. A quel punto, a fine luglio, presenteremo in Parlamento il piano di revisione».
Entro giugno 2026 vanno chiusi tutti i progetti. Chiederemo una proroga?
«Il Parlamento Ue si è espresso in questa direzione, ma la Commissione europea è contraria. Credo quindi che sia inutile impiccarsi all'albero di una possibile proroga. Si rischia solo di alimentare aspettative sbagliate».
La Commissione Ue ha difeso il gay pride di Budapest, attaccato invece da Viktor Orban. Lei che ne pensa?
«La libertà di manifestare va sempre garantita, poi però non può esserci l'obbligo di condividere un messaggio».
Orban è un modello per FdI?
«Siamo in due gruppi europei diversi, quindi ci sono differenze politiche conclamate. Poi si deve essere realisti e capire che alcuni Paesi, su alcuni temi, hanno ancora della strada da percorrere per raggiungere certi obiettivi ottimali».
È giusto quindi alzare il pressing sull'Ungheria per il rispetto dello stato di diritto?
«Non tutti i Paesi europei arrivano al traguardo nello stesso momento, e con quei Paesi in ritardo bisogna avere pazienza e cercare il confronto, non lo scontro. Isolarli è un errore».
(intervista di Federico Capurso, La Stampa)